Una mattina mi alzo fresca e baldanzosa. Faccio io qualcosa per me: sono andata all’ufficio di collocamento per un semplice certificato di disoccupazione. Arrivo lì alle otto. Mi metto in fila. L’ufficio apre alle nove e trenta. Danno i numeri contati per la fila e fin qui tutto bene. Sono sola. Una vita che non vado da sola per uffici. Sono come i bambini, ho bisogno di essere accompagnata, ma ci provo. Passano le ore. Le dieci, le dieci e trenta, le undici e nel frattempo sale dentro di me l’angoscia o meglio l’ansia. Tocca a me entrare in un ufficio dove mi faranno subito ‘sto benedetto certificato. Sono ormai in preda al panico. La signora mi inizia a chiedere dei vari lavori svolti. Mi assale la paura. Non me ne ricordo uno. Non perché non abbia mai lavorato, ma perché nella mia testa c’è la paura che cancella tutto. Emozioni, ricordi. Ho il vuoto che sento diventare più grande, che più grande non si può. La signora gentilissima percepisce il mio stato d’animo. Vede che sto per scoppiare in lacrime, lacrime che trattengo pur affogando in quel mare, ho il terrore di non riuscire a fare nulla di ciò che mi ero prefissata alla mattina, fresca e baldanzosa. La signora mi aiuta vedendo i lavori svolti. Cerco un po’ di coraggio e provo a dirglieli. Ci provo, ma le parole non vogliono uscire. Ci riprovo. Voglio sconfiggere la paura che mi attanaglia ora anche la pancia e mi fa sentire freddo, vedere le pareti che mi schiacciano, ce la posso fare, continuo a dirmi, come un mantra. Per scacciare tutta questa oppressione le dico: “Ho lavorato anche in borsa lavoro”. Lei serena mi chiede in che anno e se ricordo quante volte. Rieccola la paura. La tengo sotto “controllo”, cioè non scappo, me ne sto lì davanti alla signora e le dico schiettamente che non lo ricordo. Lei capisce che sto precipitando, non nella vergogna, ma nuovamente nella paura. Cerca di rassicurarmi dicendo: “Va bene, che lavoro ti proporresti di fare?”. Ancora oggi non ricordo i quattro lavori che si mettono sulla scheda, voglio che finisca presto, che finisca tutto, voglio alzarmi da quella sedia e andarmene, qualcosa mi blocca, la poca quasi inesistente forza di volontà di fare qualcosa per me. E desidero dimostrare che posso fare ‘sto benedetto certificato. C’è la mia tutor che l’aspetta, non voglio deluderla. Sto lì, la signora gentile mi aiuta in quella incombenza e alla fine con il certificato di disoccupazione non capisco nemmeno cos’ho in mano. Le chiedo due copie, per favore fai presto, penso dentro di me e alla fine esco, non riesco a pensare “ce l’ho fatta”, ma corro per strada per arrivare dove devo andare. La strada è una voragine. Ogni passo brividi di freddo e sudore, il respiro si ferma in gola dove c’è un nodo enorme. Per calmarlo penso a piccole incombenze quotidiane altrimenti so che potrei svenire. I miei pensieri si indirizzano su piccoli gesti comuni, mi dico pensa ad entrare in panificio a prendere il pane, pensa che dovresti ricordare di prendere la frutta, magari quella di stagione che costa meno. Queste cose mi danno la forza di fare i passi per raggiungere il luogo dove sono diretta. Penso a queste quotidianità senza nemmeno potermele permettere eppure mi fanno arrivare. Arrivo e mi lascio andare a singhiozzi irrefrenabili che per assurdo durano forse dieci minuti, poi passa, ma mi rimane in testa un senso di vertigine e cosa faccio poi? Subito fiuta che non è successo nulla, sono così, nascondo molto bene i miei sentimenti, ma li lascio traboccare quando mi sento al sicuro, in quel caso con una dottoressa nella quale ripongo la massima fiducia. O altrimenti, e troppo spesso, sfogo la mia paura a casa, tra le mie quattro mura, pensando anche al perché sono una sopravvissuta. Non sono la forte, sono la debole davanti a sentimenti così grandi e devastanti, ma ci provo, ci provo e ci provo a non farli esistere in maniera così forte. “Eppoi” io sono quella che non ha paura di nulla!
Barbablu